In principio furono i capitalisti, poi arrivarono i liberisti e il liberismo spinto ai limiti dell’umana sopportazione. Nel mezzo una parentesi di benessere e progresso collettivo oltre che di avanzamento economico e finanziario degli Stati sovrani e dei cittadini. In una recente conferenza ho potuto riassumere, in poche brevi tappe, com’è avvenuta l’infiltrazione del pensiero liberista nelle fondamenta della cultura che creò il benessere degli italiani, a cominciare dalla manipolazione del pensiero comune, per trasformarlo in pensiero unico. La realtà economica degli ultimi trent’anni, fatta di un progressivo impoverimento è diventata la nuova normalità. In effetti, però è nata da dottrine che hanno deviato il percorso che andava verso la prosperità. In questa introduzione ai ritratti dei pensatori economici scopriamo com’è avvenuto tutto questo. Quante volte ci capita di guardare alla realtà odierna fatta di povertà e disuguaglianze; di cessione di diritti e impoverimento culturale, sostituiti da una nuova retorica vuota, basata su sentimenti colorati e inclusivi solo con chi pensa come la corrente spinge a fare? Com’è successo che dalla contretezza della qualità della vita che conoscevamo ci siamo trovati con una sovranità limitata, la perdita dei diritti e soprattutto dei salari, senza aver ricevuto alcun vantaggio? Quante volte ci è capitato di chiederci: “ma come siamo caduti così in basso?”. Nonostante l’evidenza dei fatti e il confronto con il passato siano impietosi, spesso e volentieri sentiamo dalla bocca dei comuni cittadini che i servizi andrebbero tagliati. Che ci vorrebbe più rigore e severità. Che ci vorrebbero più restrizioni. Che gli italiani si meriterebbero… come se gli italiani fossero solo gli altri. Anzi, quelli che non la pensano come si deve. Da dove nasce questa ideologia? È possibile capire dove sta l’inganno e come siano riusciti a formare nelle masse un’auto coscienza dell’auto distruzione? Quando critichiamo questo assurdo sistema auto punitivo e auto denigratorio, guardiamo alle nuove generazioni e troviamo dei giudici.Degli alleati del sistema anziché dei nostri alleati. Del resto come aspettarsi qualcosa di diverso se le precedenti generazioni hanno perso la consapevolezza di quali fossero gli elementi che hanno determinato il nostro benessere? Se noi per primi abbiamo considerato il benessere ereditato dalle vecchie generazioni come un qualcosa di casuale o magari soprannaturale? Per chi è nato da fine anni 90 in avanti questo sembra un mondo normale. Anzi, quasi ideale. Sembra normale che un giovane laureato prenda 600 euro al mese per lavorare in un call center. Che si debba lavorare sottopagati e vivere a casa con i genitori fino a 40 anni. Che l’alternativa diventerà vivere da sradicati, in appartamenti condivisi con altri sfruttati, magari di etnie diverse. L’ideologia multicolore e inclusiva solo con quelli che la pensano come si deve gli fa credere che il premio di tanta fatica per una manciata di euro, sia sentirsi parte attiva dell’ideologia stessa. Vivere in un mondo aperto e godere del mix di culture; così, come se la vita fosse la contemplazione della precarietà vista come valore aggiunto. Vaglielo a spiegare che fino a 30 anni fa, mica secoli, l’Italia, l’Europa e l’Occidente erano l’esatto opposto rispetto alle ristrettezze in cui vivono loro. Non basta fargli vedere i grafici che descrivono la vita media in Italia, dove una famiglia monoreddito comprava casa, andava ogni anno in villeggiatura con la propria auto, mandava i figli all’Università e accantonava il 25% del proprio reddito. Ti rispondono che quella è la vecchia maniera; che vivevamo al di sopra delle nostre possibilità senza spiegare a scapito di chi o di che cosa, visto che anche in piena austerità, come siamo da vent’anni, il debito pubblico è continuato a salire e il lavoro è continuato a calare. In questo capitolo abbiamo tracciato i profili delle personalità che hanno inciso di più nella nostra cultura e sull’ideologia dominante di oggi. L’ideologia liberista, che si cela sotto al messaggio multicolore e inclusivo e lo sfrutta per farci accettare la precarietà, si è impossessata delle nostre convinzioni per ritorcere contro di noi gli stessi progressi fatti dall’Italia nella metà del secolo scorso, fino a farli considerare dalla maggioranza, un torto. Come hanno fatto a farci credere che il nostro bene fosse il nostro male? Per scoprire come l’ideologia liberista ha lavorato nella coscienza collettiva delle masse, soprattutto nel sud Europa, occorre sapere com’è arrivata fino a noi. Il punto di partenza è molto lontano. Questo anti-pensiero (perché basterebbe saper pensare per capire che è tutta una fregatura) affonda le radici alle origine dello studio dell’economia, nel 1700. In effetti, culturalmente parte persino da ancora più lontano. Parte dai tempi in cui il lavoratore era, al pari di un attrezzo o un macchinario, un semplice fattore produttivo, senza diritti e senza differenza tra milioni di simili, indipendentemente dal valore che era in grado di creare. L’ideologia liberista, se hai letto con attenzione fino a qui, è il principale accusato in questo libro. È inutile stare qui a descriverla oltre a quanto abbiamo già fatto con tanto di dati, grafici e persino disegni a colori; perché si riverbera quotidianamente e da molti anni sulla nostra pelle. Ciò che ci interessa in conclusione del libro, è scoprire dove questo l’anti-pensiero odierno ha avuto origine e come mai oggi ritornano in voga misure socio-economiche che, per quanto ad alcuni possono sembrare innovative, in realtà hanno del medievale. Il primo errore in cui ci hanno indotto gli economisti è stato quello di credere che l’economia fosse una scienza esatta, così come i sacerdoti di altre dottrine ci convinsero che le religioni erano infallibili. Oggi ce lo ripetono ancora: sono infallibili, se ci credi. Non c’è nulla di più sbagliato, come sappiamo adesso che sei arrivato all’ultimo capitolo. Infatti l’economia, tanto quanto la finanza è estremamente condizionata dai sentimenti riguardo il presente e le aspettative nel futuro. È soggetta alle paure, all’avidità, alla lungimiranza e all’intelligenza dell’uomo, oltre che da fattori imprevedibili. Allora quali sono le tesi o le teorie economiche che ci hanno portato oggi a vivere una situazione di deprivazione di ricchezza e di benessere collettivo?Hanno un fondamento logico o sono un atto di fede? E se hanno fondamento logico, ci sono state tramandate fedelmente oppure sono state distorte fino a farcele sembrare giuste pur cambiando completamente di significato? Questo signore si chiama Adam Smith ed è da lui che comincia la nostra storia, perché viene considerato il primo vero e proprio economista e comunque uno dei capostipiti degli studiosi di economia. Prima di Adam Smith l’approccio all’economia avveniva su basi molto approssimative, superstiziose, senza una vera e propria osservazione della realtà e con uno scopo quasi esclusivo: per opporsi allo strapotere commerciale degli olandesi dell’epoca. Il lavoratore era, al pari di una macchina, un fattore standard del costo di produzione, indipendentemente dal valore che il suo lavoro produceva. Il reddito dell’operaio non veniva contrattato, ma era proposto dai capitalisti in una sorta di ‘prendere o lasciare’. Quindi, prima di Smith, l’economia viene vista come arma di riscatto e di predominio sulle altre economie e non come mezzo di sviluppo sociale collettivo. Adam Smith, con il suo lavoro, getta le basi per aiutarci (volontariamente o meno) a comprendere le dinamiche dell’economia vista come scienza sociale e non come una scienza esatta basata sulla rigida matematica. Tuttavia Smith è un uomo della sua epoca, fatta anch’essa, come la nostra, di forti illusioni nelle teorie e soprattutto di convinzioni molto radicate, che gli fanno credere che l’economia sia un fattore naturale e che per tanto obbedisca a leggi divine. Anche questa una vera e propria superstizione. Quella del dogma resetrà una costante di tutte le dottrine economiche della storia, inclusa quella dominante ai giorni nostri, e non le chiamiamo ‘dottrine’ a caso. A Smith dobbiamo l’invenzione del famoso concetto della mano invisibile del mercato, anche se, in realtà, gli economisti ce ne hanno tramandata una interpretazione molto diversa da quella originalmente pensata da Smith. Smith ci manderà molti altri insegnamenti con l’intento di metterci in guardia, ma la corrente del tempo li ha fatti svanire e li ha sostituiti con altri dogmi e convinzioni che hanno stravolto il suo messaggio. Per fortuna il suo pensiero resta intatto nei suoi libri. Smith si pose in mezzo al confronto fra due correnti di pensiero dei tempi che si contrapponevano ferocemente: i capitalisti e i fisiocrati Siamo in Francia. I capitalisti di allora, come Colbert sostenevano che ciò che creava valore fossero i capitali (denaro e beni strumentali destinati alla produzione). Quindi chi è più ricco possiede le chiavi del progresso e per creare ricchezza. Colbert intuisce che per battere economicamente gli olandesi e dominare sulle altre nazioni occorre esportare beni ed importare argento in loro pagamento, perché con l’oro si pagano le guerre! Per questo è importante fissare delle precise regole commerciali: applicare dazi sulle merci delle nazioni straniere (questo si chiama mercantilismo ed è qualcosa di molto simile al ruolo svolto dalla Germania nei confronti degli altri membri dell’eurozona e non solo verso cui vanta bilance commerciali nette a favore – vedi alle fonti) e ottimizzare le produzioni regolamentandole rigidamente. Gli artigiani dovranno attenersi a criteri produttivi virtuosi (ciò che oggi chiamiamo, aumentare la produttività) che consentissero di produrre beni più competivi di quelli stranieri. Quello della produttività è un problema di tutte le epoche. Ancora oggi si accusa l’Italia di avere un’industria poco competitiva sul piano della competitività. Di essere arretrata tecnologicamente. Di non saper produrre come le altre industrie. Da dove nasce questo problema? Adam Smith, rispetto alle osservazioni di Colbert e Quesnay, invece fonda le sue teorie sull’osservazione di ciò che avviene nelle fabbriche. Si accorge che si può intervenire per ridurre gli sprechi di tempo modificando l’ordine dei processi produttivi. Anziché continuare a dare a ciascun lavoratore il compito di produrre per intero il bene, occupandosi di tutte le lavorazioni dall’inizio alla fine, è sufficiente spezzettare l’intero processo in singoli gesti e affidare un unico, singolo compito specifico, limitato e ripetitivo a ciascun operaio. Così facendo la produzione aumenta benché nello stesso tempo e con lo stesso impiego di risorse. Così può aumentare la produttività. Adam Smith quindi stabilisce un nuovo fondamentale aspetto economico che sarà di ispirazione per Marx. Si tratta dell’idea che il fattore che produce valore in realtà non sono né i soldi, né la terra, ma il lavoro, quindi il lavoratore. Quello che oggi siamo abituati a chiamare, capitale umano. Smith deduce che calcolando il tempo necessario a produrre i beni, è possibile stabilire l’impatto del lavoratore sul costo finale di ciascun prodotto e quindi stabilire il corretto rapporto di valore tra beni diversi. Qui nasce anche l’dea delle specializzazioni che più tardi verrà introdotta anche nell’istruzione, con l’obiettivo di formare forza lavoro già indirizzata alle specializzazioni richieste dal mercato. La mano invisibile Si tratta di un concetto che i più attenti avranno sentito citare moltissime volte. Secondo Smith esiste una sorta di coscienza collettiva che fa sì che ciascun artigiano, panettiere, ecc. si comporti in modo economicamente etico e ciò fa sì che ognuno produca la migliore qualità di cui è capace. Pertanto bisogna imparare a distinguere tra giudizio morale sulla persona e l’opinione che si ha del professionista; perché è nel proprio interesse che il panettiere sfornerà il miglior pane possibile al giusto prezzo. Solo così riuscirà ad avere una clientela soddisfatta e disposta a tornare nella sua bottega e a limitare l’intrusione della concorrenza nei suoi affari. Essendo nell’interesse di ciascuno offrire la massima qualità e a mantenere fedele la propria clientela, quest’atto di coscienza funge da regolatore dell’economia, facendo sì che i prezzi rimangano stabili e vi sia il giusto livello di competizione tra soggetti economici. Così il mercato si auto regola, come se ci fosse una mano invisibile che lo governa, spingendo gli individui a raggiungere successi personali che però vanno a vantaggio della collettività. Il mercato quindi va lasciato libero di espandersi, eliminando le barriere doganali, ma rimanendo entro i limiti imposti dallo stato che ha il dovere di vigilare sull’equità e sull’onestà dei capitalisti. Adam Smith credeva che il mercato dovesse essere libero seppur all’interno di norme dello stato che salvaguardassero i diritti di tutti. Attenti ai capitalisti Adam Smith ci mette in guardia contro i capitalisti, perché, sin dai suoi tempi, i capitalisti tendevano a chiedere ai regnanti delle norme e delle leggi che salvaguardassero i loro interessi. In particolare i capitalisti facevano accordi anche fra industriali, che gli consentissero di trarre i massimi profitti dal commercio e dallo sfruttamento della manodopera. Già oltre 300 anni fa, Smith si era accorto che questi accordi servivano a creare cartelli monopolistici del lavoro, atti a comprimere i salari. Allo stesso modo, grazie a leggi ad hoc, gli industriali e i capitalisti riuscivano ad imporre salari bassi e al contempo prezzi al consumo più alti, con l’ovvio obiettivo di trarre il maggior profitto possibile. Non ti ricorda qualcosa? Nelle prossime puntate vedremo come il pensiero economico è mutato nell’ultimo secolo facendoci attraversare il periodo florido degli anni 50 e poi arrivare alla schiavitù dei riders che consegnano cibo a domicilio e dei precari sfruttati sul lavoro mentre pochi miliardari accentrano tutta la ricchezza e perché c’è stato questo stravolgimento di idea di economia. Costantino Rover Autore del libro, L’economia spiegata facile E di ECONOMI/GRAM Fonti Il mercantilismo della Germania
Commenti al video.